IL PITTORE DEL VENTO
“Il vero paradiso sono i ricordi dell’infanzia. Mi ricordo da bambino quando, giocando tra coetanei – racconta Franco Azzinari – mi avventurai in un campo di grano in cerca di papaveri e nidi d’uccelli. Le spighe erano alte e mature. Mosse dal vento e fregandosi tra loro spargevano un suono magico: difficile da dimenticare. Osai pensare, ma allora mi sembrava un sogno, dipingere quei profumi del biondo grano che il lieve vento spargeva nell’incantevole scenario dell’orizzonte calabrese”. Oggi Azzinari – il “pittore del vento” come lo ha definito per primo Sergio Zavoli – riesce a emozionare.
Osservando le sue opere, lo spettatore viene rapito dalla magica sinfonia del vento. E nei suoi quadri si nota quella grande felicità che lui ha sempre avuto da bambino.
Azzinari, il poeta del vento – Sergio Zavoli
Caro Azzinari, sono qui, mille miglia lontano dalle tramontane che scendono verso la mia terra dal bacino danubiano, prima radendo il mare, poi innalzandosi davanti al lento ergersi delle colline romagnole fino a sbattere contro il muraglione appenninico e l’inizio di altri venti, altre storie. Il suo soggiorno dalle mie parti le ha forse lasciato un po’ del nostro elettrizzante salmastro.
Oggi, per giunta, l’aria di quaggiù riceve una sorta di consacrazione nella sua terra calabrese, dove un pittore votatosi alla multiforme natura del maestoso e sobrio, inquieto e quieto fiato della natura festeggia proprio qui, tra queste mura severe il vostro vento: quello di casa, familiare e fuggevole, che spinge le foglie contro gli scalini oppure le disperde negli slarghi di dicembre col venire dei geli. Eccolo il poeta che ha osato tanto, con l’obbligo fissatogli dall’istinto e dall’immaginazione di fermare sulla tela l’imponderabile, l’invisibile, il libero padrone dell’aria; eccolo, quel magico pifferaio che chiama i venti con i loro colori, i loro, odori, persino i loro sapori, dei covoni e delle erbe, dei voli nei cipressi pieni di uccelli e tra folate di lavanda e di tiglio, tra frutteti spodestati, uggiosi piovaschi e carezzevoli schiarite.
Leggi tuttoAzzinari, il pittore del vento – Sergio Zavoli
Ho visto questi quadri nella Sala delle Colonne, a Rimini, una domenica mattina molto presto, con la città ancora addormentata, fui invitato tra i primi a vedere l’attesa novità. Ho ripercorso il “mitico” viaggio con il timore di trovarmi, non oso dire l’illustrazione, ma la celebrazione di un “classicismo” riscoperto sul vivo, dal vero, avvertivo l’inconfessabile sospetto di trovarvi un Azzinari reso paradossalmente manierato da un’ulteriore, raggiunta maestria, anziché dal bisogno innocente di confrontarsi con una realtà più astratta ed effusa nella sua rarità e perfezione. Ma quel sospetto gli faceva un grave torto, diminuendolo fino alla dimensione del testimone, e del ripetitore, anziché dell’interprete.
Qui, proprio in questa invisibile linea di confine, Azzinari sapeva dove poter indugiare e indulgere tra due frontiere che si toccano nel punto, non soltanto di massima vicinanza, ma anche di ambiguità e, in definitiva, di rischio.
Leggi tuttoVento e anima nei paesaggi di Franco Azzinari – Vittorio Sgarbi
Credo di non sbilanciarmi troppo nell’affermare che la serie che ha per soggetto i campi di grano è certamente la più felice e ispirata fra quelle prodotte da Franco Azzinari, pittore calabrese che, ancora giovane, ha oltre trent’anni di carriera alle spalle. Nella loro apparente semplicità, in un trionfo assoluto di colori e forme naturali, i campi di Azzinari sono veri e propri concentrati di pensiero.
Fino a un certo punto il percorso artistico di Azzinari si è mosso in parallelo a un desiderio di esperienza del mondo che ha portato l’ artista a muoversi lontano dalla Calabria, prima in Francia, poi in Estremo Oriente, in America, in Brasile, a Cuba. A circa cinquant’anni di età, Azzinari ha sentito il bisogno di ristabilire un rapporto diretto con la sua terra d’origine, accogliendo l’invito di allestire ad Altomonte un proprio museo personale, e con i miti storici e culturali di cui essa si è sostenuta.
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La natura bisogna saperla ascoltare. Ha una voce mutevole e segreta, a volte allegra e chiassosa, a volte malinconica e nostalgica. È, la voce del vento. Franco Azzinari dimostra di possedere un udito sensibile e finissimo, e dunque con il vento sa dialogare.
È il vento che lo fa entrare nei meandri più profondi ed enigmatici della natura; che gli sussurra i colori accesi e misteriosi dei suoi paesaggi; che gli urla la bellezza, della vita. Per chi, come me, è nato e cresciuto in un paese del vento e da bambino ha corso controvento nei campi di grano arsi dal sole o stordito dai profumi delle erbe e dei fiori in primavera, la familiarità e la sintonia con i paesaggi di Azzinari è totale. Ammirare i suoi dipinti è come specchiarsi di continuo nella purezza ancestrale dell’infanzia,, in un tempo e in uno spazio che ti appartengono, ma che lo sguardo e la mano abile del pittore sono riusciti a trasfigurare in un tempo-spazio universale.
È questa una delle magie dell’arte.
Leggi tuttoAzzinari, i travolgenti venti – Mario Caligiuri
Devoto, ma emulo – a suo modo – di Eolo, Franco Azzinari fa soffiare i venti della Calabria fino a Roma, quinta irripetibile del Gran Teatro del Mondo.
Venti che prendono slancio dallo Stretto (benedetti dalla fata Morgana), sorvolano l’Aspromonte, si estendono sugli ulivi secolari della piana, lambiscono la rupe di Tropea ( che custodisce le anime dei suoi Cavalieri di Malta), virano verso lo Ionio nell’ariosa città dei velluti per avvistare in successione l’indomito marmo di Capo Colonna, innalzandosi non pago per superare la vetta del Dolcedorme, dove da molto lontano si avverte ancora lo stormire delle fronde dei giganti del Fallistro, nella Sila Grande.
D’un soffio (mai come in questo caso termine fu più appropriato) i venti dell’antico Bruzio e della Magna Grecia sontuosa, sospinti dagli auspici benevoli della Sibilla, giungono su Roma, costeggiano le mura di travertino del Colosseo (dove ancora sembra echeggiare lo stridio delle pugne dei gladiatori) e, magicamente, convergono sul colle più alto, dove da secoli hanno dimorato prima papi, poi re e adesso presidenti.
E vi hanno abitato per tempi molto diversi (e già la durata degli anni lunga la dice sulle incerte fortune del mondo), persone che incarnano simboli, fatti di ossa ma anche di spirito, a identificazione di quel potere che ammalia e respinge, premia e corrompe, salva e disperde. A ben guardare, non potevano che approdare qui, nella sommità dell’Urbe, i travolgenti venti calabresi di Franco Azzinari, dopo avere soffiato anche nell’altro capo del mondo, in quella Cuba svelata da chi si affidava ai venti per esaudire l’impellente ricerca delle Indie Occidentali.
Scoprendo, dodici giorni dopo quella di San Salvador, una terra dove nel fruscio delle foglie delle palme, oggi si mescolano rum e santeria, ricomponendo un’atmosfera coloniale, tra ovattate volute di sigari dall’aroma avvolgente e il sapore amarognolo dei “Cuba libre”.
Un’isola che dalla dolce vita è passata bruscamente alla rivoluzione, con il Che compagno di strada di Fidel, che, regnando più di tanti pontefici e imperatori messi insieme, spesso ha posto i caraibi al centro del globo, coinvolgendo, con rischi estremi, Kennedy e Krusciov a condurre una fortunosa partita a scacchi.
Ed è proprio nelle assolate strade de la Habana, in un museo dedicato a un altro viaggiatore incantato, Ernest Hemingway, che hanno trovato apparente, eppure duraturo, riparo i venti di Azzinari, accomunati nientemeno che ai ritratti di Castro, privilegio supremo concesso a questo figlio d’Occidente, il solo ritenuto degno di eternare l’effige del Lìder Màximo.
Ma, com’è noto, tutte le strade conducono – e ritornano – a Roma, nonostante i capricci e le rotte cangianti di tutta la incestuosa genia del re dei venti.
E nel Teatro dei Dioscuri (misterica coincidenza, che riporta alla mente i due argonauti provenienti dal tempio di Marasà di Locri, oggi ospiti nella Reggio delle Calabrie) vengono esposte quaranta opere che sono un inno alla terra del re Italo che ha dato non solo il nome al nostro grande Paese ma anche i natali, e quindi del loco il genius, ad Azzinari, cantore di una natura sempre rutilante nelle terre dei miti.
Guardando la mostra, tra colori abbaglianti – suggestioni di Provenza – e tocchi inconsueti –
rimandi di rimandi -, sembra di essere investiti da un grande vento in un territorio di emergenza, dove come per magia, tutto diventa possibile.
Vento, allora, come elemento divino, che spazza i temporali e chiarisce le menti, che muove le nuvole e avvolge le cime, che scompiglia i capelli e accarezza i volti, le mani, le ciglia. Sembra quasi di vedere il pittore da bambino nascondendosi in mezzo alle spighe di grano per carpirne il respiro oppure rimanere assorto per capire, come Walt Whitman, se esista realmente qualcosa tranne i fili dell’erba.
E sono proprio queste le sensazioni che vibrano sulle tele di Franco Azzinari, donandole a noi, spettatori senza fissa dimora in un mondo – comunque – d’incanti.
Testo inedito per la mostra “ Venti del Mediterraneo” di Franco Azzinari al Teatro dei Dioscuri di Sant’Andrea al Quirirìnale a Roma, tenuta dal 16 al 30 ottobre 2012